Io, mamma di un arbitro
a cura di Marina Basile
I fatti di questo ultimo weekend - l’aggressione del diciannovenne direttore di gara Tiziano Albore, della sezione Aia di Bari - hanno “dato vita” alle paure dei genitori di molti arbitri, ragazzi spesso minorenni che scendono in campo armati solamente di un fischietto e di due cartellini, giallo e rosso.
Sono ragazzi che cominciano la loro “dura” carriera in giovane età e che sacrificano molti pomeriggi ad allenarsi e a formarsi per svolgere al meglio il loro lavoro. Ragazzi che sul campo di gioco si ritrovano spesso da soli e contro tutti, contestati nelle loro decisioni perché nell’opinione comune “l’arbitro sbaglia sempre” anche se e quando applica il regolamento alla perfezione. Sempre nell’opinione comune è colpa dell’arbitro se si vince o si perde una partita, non è mai colpa della prestazione dei calciatori schierati sul campo.
Ecco quindi che ben presto si sceglie la soluzione più semplice per scaricare la frustrazione dei propri insuccessi: inveire contro l’arbitro verbalmente e attaccarlo anche fisicamente.
Sarebbe utile e costruttivo se ognuno di quei genitori, che grida offese e parolacce contro un giovane direttore di gara che si sta sforzando di rendere perfetta e inoppugnabile la propria prestazione sul terreno di gioco, al pari dei suoi coetanei calciatori, si mettesse solo per un attimo nelle vesti dei genitori dell’arbitro.
Ebbene sì, anche gli arbitri hanno dei genitori che si svegliano la domenica mattina alle 6 per accompagnarli dalla parte opposta della regione, genitori che stazionano tra gli spalti per più di due ore, sotto le intemperie e con qualsiasi condizione metereologica, solo per sentire offese gratuite proferite nei confronti del proprio figlio. Genitori che restano in religioso silenzio in attesa del termine della partita sperando che nessuno aggredisca il proprio figlio, genitori che non reagiscono di fronte a nessuna provocazione, neanche quando sentono chiamare il proprio figlio sordo, cieco, ladro, truffatore e cornuto. Invito qualsiasi altro genitore ad accettare tutto questo e, soprattutto, invito i genitori degli atleti e gli allenatori ad insegnare prima di tutto le regole del rispetto e del fair-play, perché un buon calciatore deve essere prima di tutto un uomo per bene.